giovedì 14 luglio 2011

Immagina una strada

"Immagina una strada." Me lo chiese una ragazza, un milione di anni fa. 
La conoscevo poco, e non mi ricordo di averla più incontrata dopo di allora. Ma quella sera, seduti al tavolo di un locale, insieme a vari amici lei disse ad ognuno di noi: "immagina una strada". Ognuno di noi lo fece.
La mia strada era stretta, un vicolo, pavimentato a grandi ciottoli, era così stretta che potevo toccare con le mie mani i due lati della strada. Per di più  guardando a terra vedevo che era bagnata e quindi sdrucciolevole. La mia strada era stretta e difficile da percorrere.
La ragazza poi ci disse che quella strada era il modo in cui noi stessi immaginavamo la nostra vita.
Mi sembrò appropriato che la mia vita fosse così, mi sembrò adatto a me che io la immaginassi in quel modo.
Tralasciando del tutto il particolare che il mio fidanzato di allora avesse immaginato la sua strada come una bella autostrada, lucida, nera, asfaltata e con una bella e bianca linea di mezzeria al centro, il che fa comprendere quanto inadatti fossimo l'uno per l'altra, tralasciando dunque questo particolare, tralasciando il quale noi rimanemmo insieme per molti anni ancora prima di arrivare a capire che non era il caso di perseverare, quella strada che immaginai allora, quella visione, mi ha accompagnato nel tempo. Ogni tanto ho cercato di pensarne un'altra, per vedere se qualcosa in me era cambiato. 

venerdì 8 luglio 2011

Desideri: attenzione


Quando ero piccola ed esprimevo un desiderio, spesso, se c’era qualcuno vicino a me in quel momento, mi diceva: “sta’ attenta ai tuoi desideri perché potrebbero avverarsi”.
Io non capivo poi tanto bene, che cosa volevano dire?
Se uno esprime un desiderio è proprio perché vuole che si avveri. Tra l’altro, i desideri si esprimono quasi sempre pensando che non si avvereranno mai. Per questo motivo si tende a esagerare.
Cara stella cadente, fammi vincere al superenalotto.
Caro topino del dente, fammi trovare un fidanzato bello come George Clooney.
Care candeline del compleanno, fatemi sposare col mio amore al più presto.
Cara Befana, portami una grande casa, ristrutturata, panoramica, dove abitare.
Caro Babbo Natale, quest’anno non mi portare giocattoli ma fammi trovare un lavoro che mi piaccia.
Caro Gesù bambino, lo so che tu non fai queste cose, ma fai venire un accidente a quell’idiota del mio vicino di casa che di notte suona la chitarra e non mi fa dormire.
Si sa, con i desideri si esagera sempre.
Sono passati molti anni e molti desideri, mai nessuno che si sia avverato.
Parecchio tempo fa, due anni almeno, forse anche tre, qualcuno mi regalò uno di quei braccialetti che si annodano al braccio, quelli che quando si spezzano si avvera il desiderio espresso nel momento in cui lo si è indossato. Io ho pensato al mio desiderio, l’ho annodato e l’ho tenuto senza pensarci più.
Alcuni mesi fa si è spezzato.

lunedì 4 luglio 2011

Dell'arte del vaticinio

Vivere nella mia città, Napoli, rende inclini al fatalismo, alle tecniche di divinazione, alla consultazione degli astri e del volo degli uccelli, all’osservazione di fenomeni naturali e al sentimentalismo in generale.
Stamattina esco per fare alcune commissioni; fa caldo, penso di aspettare l’autobus. Non essendoci ausilio tecnico (un cartello con gli orari; un display elettronico; un gabbiano indicatore) che mi può dare una qualsiasi informazione sul tempo di attesa, che su questa linea va dai venti minuti all’infinito, cosa faccio? Osservo i segni, la pista, come farebbero gli apache o i tuareg nel deserto. I segni indicatori sono molteplici e bisogna essere dotati di acume per coglierli e per metterli in relazione gli uni con gli altri, una corretta divinazione mi metterà in grado di sapere se mi conviene aspettare o andare via.
Ci sono persone alla fermata? Sì.
Questo mi sembra un buon segno, se non ci fosse nessuno non varrebbe la pena aspettare. Interrogo allora una signora: lei non aspetta da molto ma resta, fiduciosa, perché una persona che da poco se n’è andata, spazientita dall’attesa, era lì da parecchio.
Interessante. Ci sembra di poter sperare che data la lunga attesa, presto all’orizzonte si materializzi la sagoma dell’autobus.
Una terza persona, interessata anche lei e anche lei incerta sul da farsi, ci fa notare però che in tutto questo tempo, nessun autobus è passato nella direzione contraria.
Anche questo è un dato importante e da non sottovalutare, perché nessuno è stato mai certo del numero effettivo di vetture su questa tratta, l’ipotesi accreditata è che non ce ne siano più di due. 
Come, solo due? Per una linea così importante? Sì, solo due. 
Il latore della ferale notizia, un uomo di mezza età, che sorride sotto i baffi perché lui è uno informato dei fatti della vita,  ci dice di averla appresa un giorno non molto lontano, quando l’autobus su cui viaggiava si guastò e tutti i passeggeri furono costretti a scendere. In quel momento il conducente li esortò a cercare di raggiungere le loro mete con mezzi alternativi, disse, il conducente: “mo’ state freschi ad aspettare, i pullman sono solo due, mentre arriva l’altro in sostituzione dal deposito, fate prima ad andare a piedi!” 
La notizia ci getta momentaneamente nello sconforto.
Una signora decide di abbandonare la sua posizione e di incamminarsi. 
Il giornalaio, che ascoltava attento, plaude la scelta. 
L’uomo, dopo averci lasciato tutti perplessi e con i calcoli da rifare, se ne va dicendo che questa città è una disgrazia.
Io, dal canto mio, dopo avere impiegato almeno venti minuti in congetture che si sono rivelate vane, decido di andare a piedi.
Guardo il cielo, il sole è già alto, ma ho fiducia che si stenda il vento, che come tutti sanno, non rivela il carattere della giornata prima delle undici almeno.

venerdì 1 luglio 2011

Nuovi tipi di stupefacenti

Da alcuni mesi a questa parte, la mia attenzione è stata catturata da un genere di programmi televisivi che guadagna sempre maggiori spazi nei palinsesti di molte reti: i programmi di cucina.
Sì, quelli con i cuochi e le ricette.
Li guardo soprattutto la sera, su alcuni canali satellitari; li trasmettono senza soluzione di continuità, in blocchi di un’ora o mezz’ora.
In pochi minuti, queste perfette creature, gli chef, con le loro abili mani, compiono gesti perfetti. Questi uomini, sempre sorridenti, vestiti di bianco, sanno domare ogni ingrediente con garbo e attenzione; sono rassicuranti e al tempo stesso mostrano di essere dotati di determinazione e esperienza - un po’ come i medici delle serie televisive americane che ti raccolgono in fin di vita, e ti ridonano la salute sorridendo, senza che questo costi alcuno sforzo a loro e nessun dolore a te – televisivi dispensatori di ordine e tranquillità.
I miei cuochi tagliano fettine di spessore millimetrico, tutte perfettamente uguali tra loro, sminuzzano, tritano, con gesti precisi e sapienti.
Nulla li mette in difficoltà o li spaventa. Non arretrano neanche di fronte a una cipolla da sbucciare. Non temono lacrime inopportune e antiestetiche. Le loro padelle non mandano mai uno schizzo inopportuno e fuori luogo, le loro paste non si scuociono inopinatamente, i loro grembiuli immacolati non temono macchie maleducate.
Con i loro utensili luccicanti, i loro coltelli e taglieri sempre adeguati, i loro cucchiai e palette perfettamente ordinati sui piani di lavoro, riducono all’unità ciò che è per natura molteplice, rendono coerente e ordinato il disordine e l’indisciplina della natura.
Io, che ho sempre avuto bisogno di certezze nella vita, magari piccole, ma comunque certezze, li guardo ipnotizzata, anche per intere serate, me li scelgo, guardo l’uno piuttosto che l’altro, poi scivolo nel sonno dei giusti.
Ho scoperto che mi rassicurano e mi trasmettono mezz’ora di serenità: niente di imprevisto o di brutto può accadere in quelle cucine bianche e cromate. Spesso mi accorgo di seguire poco anche le ricette, e di dimenticarle appena scorrono i titoli di coda del programma. Quello che guardo sono i cuochi, le loro mani, ascolto le loro voci ben modulate e dimentico il caos che mi circonda. Dimentico il mondo che mi sembra sempre più incomprensibile e minaccioso, e dimentico il futuro, che mi sembra sempre di più un’ipotesi azzardata.
Nuovi, o vecchi, tipi di stupefacenti di massa.