sabato 24 settembre 2011

Lo sguardo negli occhi degli altri


Poche sera fa sono uscita in compagnia di tre donne: un’amica e due ragazze che non conoscevo, amiche della mia amica. Siamo andate al cinema e poi a bere una cosa.
Sedute al nostro tavolo, inevitabilmente i discorsi che abbiamo fatto sono stati i soliti che le donne fanno quando si ritrovano tra di loro: uomini, fidanzati mariti e quant’altro.
Poiché due ragazze non le conoscevo, loro mi hanno chiesto di me, di cosa faccio e cose del genere. Arrivate alle fatidiche domande “sei sposata?” “hai figli?” io ho risposto di no. Infatti non sono sposata e figli non ne ho.
Ho assistito, e non era la prima volta, a reazioni completamente diverse da quelle a cui ero ormai abituata. Per spiegare il cambiamento devo fare un passo indietro.
Dai trenta ai trentacinque anni ho assistito ai matrimoni di tutte le donne che conosco: amiche, conoscenti, amiche di conoscenti, parenti, non hanno fatto altro che sposarsi in massa. E ogni volta che mi capitava di incontrarne qualcuna, oppure ogni volta che a una cena l’argomento cadeva su questioni sentimentali, io ero oggetto di domande, ammiccamenti, compatimenti di vario genere: “ma tu sei fidanzata/sposata?”; “ma quando ti sposi?”; “non hai forse voglia di avere dei figli?” e tutte le possibili variazioni sul tema. Erano sempre e solo le donne a chiedere, e alle mie risposte assumevano espressioni del viso tra il compatimento di circostanza e la velenosa  e falsissima rassicurazione: “vedrai prima o poi l’Amore busserà anche alla tua porta, come ha già fatto con la nostra”.
Poi, dopo i matrimoni sono cominciati i battesimi, anche quelli a raffiche. È incredibile la capacità riproduttiva delle donne in tempi in cui si dice che siamo a crescita zero!
Ora certo non c’è da sottovalutare che qui siamo al sud, che il matrimonio e la progenie sono ancora cose che vanno per la maggiore. Vuoi perché tanto di lavoro non ce n’è, per cui è più sicuro un matrimonio che un lavoro a tempo indeterminato mal pagato, vuoi per antichi debiti con la tradizione che qui ci vuole mogli e madri, alla fine a queste domande e a queste occhiatine mi ero abituata.

sabato 17 settembre 2011

Caro Amico


Caro Amico del Cuore,
è stato davvero bello ritrovarti dopo tanto tempo.
Dopo la scuola, quando eravamo compagni di banco, tre compagni di banco; dopo i viaggi fatti insieme, con quello sparuto gruppo che si teneva insieme contro tutti e tutto; dopo l’università; dopo il lento e inspiegabile allontanamento che prima o poi arriva anche senza spiegazioni; dopo il lavoro che ti ha portato in un’altra città; dopo gli amori felici e poi infelici.
Ti ho ritrovato uguale a come eri, a quarant’anni, i nostri quarant’anni, ormai scoccati e più o meno evidenti. E rivederti è stato anche rivedere gli altri, quelli del gruppo, alcuni compagni di classe, altri no, ma comunque tutti compagni di un pezzo di vita che credevamo importante, per lo meno allora. Il mio piacere di trovarvi ancora insieme è stato tutt’uno con il dispiacere  di non essere rimasta anche io con voi, con il chiedermi perché sia successo e con il rispondermi che è successo perché io, in qualche modo, non ero uguale a voi e oggi come allora me ne sono resa conto.
Mi addolorò allora e anche oggi, il tuo allontanamento, e mi ha addolorato, in tutti questi anni trascorsi, sapere che non era stato lo stesso con gli altri amici e che c’erano delle cose di te che non hai mai voluto dirmi, chi sa per quale convinzione sbagliata che avevi su di me.
Mi hai reso giustizia adesso, presentandomi il tuo compagno, e lo hai fatto a modo tuo, e te ne sono finalmente grata, dopo appena vent’anni che aspettavo che lo facessi.
So che probabilmente non ci rivedremo, con te come con gli altri, e so che io continuerò a ricordare quegli anni trascorsi insieme con la tenerezza che si deve ai ricordi della propria adolescenza, dimenticando tutto il resto, quello che è venuto dopo.
Caro Amico, arrivederci, buona vita.

mercoledì 14 settembre 2011

I quiz

Il momento è arrivato.
Lo aspettavo. Lo aspettavo con un po' di apprensione, con un pizzico di curiosità, ma soprattutto con un sentimento che ancora non ho saputo decifrare, forse semplicemente con la mancanza di curiosità di chi sa già bene di cosa si tratta.
E' tornato per me il momento del quiz preselettivo. 
Il quiz preselettivo è quanto di più umiliante e demenziale si possa chiedere a chi cerca lavoro sottoponendosi ad una procedura concorsuale. 
Si chiede a qualcuno di rispondere a domande di cultura generale, storia, geografia, informatica, logica e quant'altro, in pochi minuti, in generale in un numero di minuti inferiore al numero delle domande.
Non è importante sapere nulla delle materie in oggetto, poichè il concorso a tutti gli effetti si svolgerà in un secondo momento, l'importante è dare modo alla commissione di fare una importante scrematura tra i sempre troppi partecipanti al concorso.
Quanti ne ho fatti, all'inizio della mia vita lavorativa di quiz preselettivi, sono stata radunata insieme a migliaia di persone in palasport, centri polifunzionali, alberghi. Ho preso treni, pullman, navette per arrivare, insieme a un enorme branco indistinto di persone, a mettere pallini e crocette su un foglio prestampato, e poi sono andata via, facendo la strada a ritroso, con la sensazione di avere perso momentaneamente l'identità, di essere diventata qualcosa di simile a un numero o a una statistica.
Una sensazione sempre spiacevole.
Quanto sono poi stata contenta di credere che non avrei dovuto più fare cose del genere quando poi ho trovato lavoro, privatamente, senza dovere vincere concorsi che non avrei vinto mai.
Adesso sono qui, con 2.500 quiz da imparare in pochi giorni, per poi sedermi ancora una volta a un tavolino di plastica per pochi minuti, per fare una scommessa sul mio futuro. 


lunedì 5 settembre 2011

Un barattolo


Un barattolo color pervinca.
Lo apro e sento un profumo intenso di tè verde e gelsomino. Adesso che sono tornata a casa, lo apro e inspiro profondamente, con gli occhi chiusi. È il profumo della mia vacanza. È il profumo di una città che non vedevo da anni, una vecchia amica, il cui ricordo mi ha accompagnato sempre come l’immagine di ciò che desideravo e che sapevo che non avrei mai avuto il coraggio di avere. Un’amica più grande, che mi seguiva da lontano, nella confusione della mia vita, ma che sapevo che mi avrebbe aspettato e accolto di nuovo, prima o poi, per segnare un altro momento, un altro passaggio, un nuovo punto da cui ripartire.
La prima volta che l’ho vista mi aveva stupito con la sua aria frenetica di metropoli, ma allo stesso tempo compassata, ordinata, compatta, pur nella moltitudine di persone che l’attraversavano a passo svelto. Mi ricordo di me stessa che guardavo palazzi e vetrine che mi sembravano rappresentare un altro mondo, per me che venivo da una città anomala e provinciale, antica e arretrata.
L’ho trovata cambiata, travolta dai negozi e dai turisti, sfigurata dalle catene di negozi per mangiare male e a poco prezzo. Le donne indiane, vestite con la sari, che camminavano sfilando davanti alle vetrine di Fortnum & Mason non ci sono più. Probabilmente oggi le ragazze che passeggiano per le stesse strade sono le figlie di quelle donne e vestono all’occidentale. Perfino Harrods, da grande magazzino un po’ pacchiano, dove si potevano trovare vestiti a fiori e cappelli da vecchia signora inglese, è diventato un altrettanto pacchiano tempio dell’acquisto di lusso per clienti arabi o russi.