martedì 9 agosto 2011

Vacanze

Quando ero piccola partire per le vacanze estive era una faccenda molto complessa, che richiedeva una lunga preparazione, molta attenzione e, soprattutto una grande e crescente attesa.
Sapevamo che appena finita la scuola saremmo partiti, ma si capiva che eravamo ormai prossimi alla partenza quando una sequenza di eventi, sempre uguali negli anni, aveva inizio.
Molti giorni prima mia mamma cominciava a radunare le provviste che avremmo portato con noi. Era molto importante scegliere bene e non sbagliare le quantità: esse ci avrebbero consentito di sopravvivere per due mesi.
Mamma comprava soprattutto fettine di carne di tutti i tipi, che divideva poi in pacchettini sui quali scriveva col pennarello rosso, poi li congelava, li avremmo trasportati nelle borse termiche. Diceva che la carne che si vendeva lì dove andavamo era troppo dura, non la facevano “frollare” abbastanza; non si sapeva cosa voleva dire, solo si capiva che ci dirigevamo verso un luogo aspro e selvatico.
Poi toccava ai giocattoli e ai pupazzi della camera che condividevo con mia sorella, venivano imbustati e infilati negli armadi perché non prendessero polvere mentre noi non c’eravamo. Dovevamo scegliere quali volevamo portare con noi, ma pochi però, che saremmo andati al mare e non avremmo avuto voglie di giocare con i giocattoli dell’inverno. La scelta era ardua e si cambiava idea molte e molte volte al giorno. Fino a che mamma si spazientiva e allora ci minacciava di non portare proprio niente.
Quando si cominciava la preparazione delle le valigie quasi c’eravamo. Bisognava pensare a tutto, la biancheria per la casa, i vestiti di tutti, i giocattoli preferiti, le medicine (soprattutto le medicine), e mamma era molto agitata e indaffarata e diceva sempre: “devo pensare a tutto io in questa casa”.


Finalmente arrivava la mattina della partenza.
Papà caricava in macchina pacchi, borse termiche, valigie, scatole, il pupazzo con il quale dormivo e me, il cuscino senza il quale mia madre non riusciva a dormire, mia sorella, mia madre e spesso mia zia, il tutto in una A112 verde bottiglia con il tetto bianco.
Così, con le gambe rattrappite dai pacchi e dalle borse che ci ritrovavamo sotto i piedi ci avviavamo sulla Salerno-Reggio Calabria, destinazione finale Acquafredda di Maratea. Ancora mi chiedo come abbiamo non solo potuto sopravvivere, ma anche arrivare sani e salvi dopo circa tre ore di quel viaggio che oggi mi sembra fantozziano.
Arrivavamo così in case diversissime dalle nostre di città. Villette con giardini, vegetazione, alberi tutto intorno, luoghi incantati dove saremmo rimasti per moltissimo tempo.
Due mesi di vacanze, una cosa che oggi sembra strabiliante.
Nel mese di luglio, papà veniva solo nei fine settimana, la domenica sera lo accompagnavamo alla stazione e lui ripartiva, prendeva un treno rapido (!) Sapri – Napoli.  Durante la settimana, quando volevamo telefonargli, dovevamo andare in un paese vicino dove c’era un telefono pubblico. Si aspettava il proprio turno in fila, poi si entrava in una stanzetta col telefono e alla fine si pagava alla cassa. Mi piaceva moltissimo fare quella telefonata, adoravo quella stanzetta piccola e marroncina col telefono grigio attaccato alla parete.
La nostra vita precedente, la vita di città, era completamente dimenticata, praticamente non esisteva più, non ricordavamo nulla, tutto quello che c’era, era lì, al mare.
I ricordi più belli e luminosi della mia infanzia sono quelli delle infinite vacanze estive. Posso dire di essere cresciuta nell’acqua di mare.
Adesso che le estati sono diventate minuscole e risicate, spesso mi soffermo a pensare a quanto siamo stati fortunati noi bambini degli anni ’80 e a quanto sono invece sfortunati i bambini di oggi, soffocati in città anche adesso, con vacanze da due settimane se la crisi lo consente. Spero davvero che anche per loro il tempo sia solo un’astrazione e che due settimane gli possano bastare per crescere bene. Soprattutto che gli servano per accumulare ricordi meravigliosi che gli serviranno nelle estati future delle loro vite, quando chi sa se le vacanze esisteranno ancora.

2 commenti:

  1. Tesoro, quei bambini degli anni 80 oggi sono adulti...molti dei quali costretti a trascorrere, per motivi di lavoro, scelte di vita personale o mero esilio politico, lunghi inverni in città dove tutto, dall'aria che si respira, alla falda acquifera che scorre nei rubinetti di casa, è INQUINATO!!!
    Poi, finalmente, arriva l'estate: e quelle città, già fredde e buie d' inverno, stringono in una morsa soffocante di afa. I soldi non bastano mai. Una settimana di vacanze al mare, in qualsiasi località sul territorio italiano, costa lacrime e sangue.
    Da bambini abbiamo vissuto un'autentica età dell'oro.A volte anche per me quei tempi ritornano alla mente,lontani ed avvolti nella dorata luce dell'estate,come in un sogno. I vestitini con le bretelline cuciti da mia nonna.Gli zoccoletti. I costumini con i laccetti.Il mare, ancora pulito tutto il giorno, non ancora martoriato dal continuo viavai delle imbarcazioni da diporto e dai loro nefasti scarichi.La passeggiatina pomeridiana alle giostre.Il gelato, rigorosamente artigianale e ai gusti di fragola e limone ( "i più igienici in assoluto", sosteneva mia madre). La bicicletta alla quale, un'estate, mio padre tolse le rotelline di sostegno e mi disse categoricamente:" da quest'anno andrai senza".Ed io dovetti cercare un nuovo equilibrio sulle due ruote.Ancora non sapevo quanto, molti anni dopo, sarebbe stato faticoso trovare un equilibrio emotivo in questa vita di montagne russe.

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  2. Accidenti, che mi hai ricordato! Il gelato artigianale, mille lire, un cono enorme e buonissimo!!
    Bentrovata!

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