Se mi affaccio alla
finestra, davanti a me si dispiega un panorama dolce, verde, di erba, di
alberi, di siepi ben coltivate.
Le guardo come si
guarderebbe un film.
Le guardo e mi sembra
che il paesaggio, con la sua immobilità gentile, abbia saputo fermare il tempo. A guardare fuori, i giorni sembra
che non passino per niente. Oppure che ogni giorno sia gemello del giorno
prima. Uno scorrere senza arrivare alla fine delle cose.
Per me è un posto buono
dove stare, che il tempo che passa mi procura generalmente angoscia.
Mi succede però che guardo
fuori e, insieme alle siepi e ai peperoncini messi a seccare al sole, vedo
distese davanti a me tutte le mie paure.
Penso che sia il troppo
sole a fare brutti scherzi, è ancora troppo caldo, in questo ottobre anormale,
per il clima e per me, allora ritorno dentro, nella penombra degli scuri
accostati, nel silenzio della casa vuota.
No non era il sole, non
era il troppo caldo di questo ottobre anormale. Eccole sedute intorno a me, non
riesco a mandarle via. Ci sono proprio tutte, non ho bisogno di contarle, di
farne l’appello, le riconosco alla prima occhiata, neanche una ha deciso di aspettarmi a casa
mia, per il mio ritorno.
Cosa posso fare allora,
nemmeno il grande cane bianco seduto accanto a me le vede, non abbaia per
scacciarle, sbuffa indifferente alle sorti mie e di chi mi abita.