martedì 31 gennaio 2012

Librerie che chiudono, amori lontani e la possibilità

Chiude una libreria nella mia città.
E', o meglio, era, una libreria antica, di proprietà una famiglia di librai napoletani. Quando io andavo a scuola, fino alla fine del mio liceo, quindi più o meno fino alla fine del 1990, nella città di librerie appartenenti a questa famiglia ce n'erano almeno cinque se mi ricordo bene, negli ultimi vent'anni hanno chiuso tutte, ora ne rimarrà aperta solo una, nel centro storico, la casa madre, sede anche della casa editrice.
La libreria che ha chiuso oggi si trova nel mio quartiere e io ho passato molti anni della mia vita avendola come punto di riferimento.
Molti sono stati gli articoli sui giornali, il dispiacere delle persone, le fotografie di scaffali vuoti, la giusta commozione dei proprietari, i napoletani che su Facebook si lamentavano e si strappavano i capelli.
Insomma tutta la retorica del caso.
Anche a me è dispiaciuto che una libreria grande e di lunga e gloriosa tradizione abbia chiuso.
Poi però ho pensato che era molto tempo che in quella libreria io non ci entravo più.
Ogni volta che negli ultimi tempi mi era venuto il desiderio di farmi venire un desiderio ed ero entrata lì dentro, ne ero uscita depressa e disgustata, con pensieri tristi che mi frullavano per la testa.
Quella libreria, come molte altre che non fanno parte di una grande catena distributiva, si era trasformata in una specie di bancarella.
Esposizioni sempre più scarne, libri spazzatura in bella vista, intere sezioni dedicate ai romanzi giovanili, al fantasy, e chi più ne ha più ne metta.
Bruno Vespa a Natale, Paolo Brosio e il suo misticismo idiota tutto l'anno, il calendario di Frate Indovino, la dieta tal dei tali, le ricette della televisione, la storia della vita di un calciatore, il folklore cittadino.
Per il resto, occhieggiavano abbandonati e con l'aria un po' triste, i soliti tascabili negli scaffali.
Certo il vero problema è che queste cose vengano stampate e che vengano pure vendute, però da una libreria, i lettori si aspettano qualcosa: il piacere di una scoperta, il consiglio accorto, l'esposizione di una casa editrice minore ma di qualità.
Insomma i lettori si aspettano un po' di amore per i libri.
Lo so, anche l'amore ha un prezzo.
I libri si devono vendere perché si deve pagare l'affitto a fine mese, ci sono i dipendenti, le bollette del negozio e di tutte le famiglie che dipendono dal negozio, quindi, pur di chiudere la giornata con un numero minimo di vendite ci si riduce a vendere spazzatura.
Paradossalmente è molto più facile trovare cose di qualità in una Feltrinelli piuttosto che in una libreria di quartiere.
In una catena si aiuta la qualità con la possibilità che offre la quantità.
Certo non è sempre così, ma a volte può esserlo.
In una piccola o media libreria, spesso, non c'è più nemmeno la possibilità.
Non dico e non voglio dire che sia sempre così, che non ci siano piccole librerie bellissime e piccoli librai coraggiosi (mi sembra di sentire parlare Ascanio Celestini: il piccolo fornaio, la piccola città), dove si trova ogni sorta di piccola delizia.
Non voglio generalizzare, perché il discorso sulla vendita dei libri è molto complesso e non sono io la persona giusta per farlo.
Io riporto quello che vedo girando nelle strade e per le librerie della mia città, che non è affatto una metropoli, e non è nemmeno una città che si potrebbe definire di provincia.
Quindi oggi la libreria del mio quartiere che esisteva da quarant'anni e dove anche io ho comprato molto fino a una decina di anni fa, ha chiuso.
Ma a chi mancherà quella libreria?
Io, temo che non mancherà a nessuno, perché i lettori l'avevano già abbandonata da tempo, e quelli che comprano libri di ricette di cucina da regalare alla suocera, le compreranno da qualche altra parte.



venerdì 27 gennaio 2012

Due lune, ci sono due lune


Passeggiavo, qualche giorno fa per una strada che non percorro mai, per una strada che non mi piace, sempre affollata da persone rumorose e sguaiate.
Cercavo di uscirne alla svelta, era sera, volevo svincolarmi da quella folla, quando vedo venire nella direzione opposta alla mia, una ragazza che conosco da tanti anni, ma che da molto tempo non mi era più capitato di incontrare. Non proprio una mia amica, piuttosto una conoscente, una persona che avevo dimenticato di avere dimenticato.
Ma guarda, ho pensato, allora vive ancora qui, non è emigrata altrove come quasi tutto il resto dei miei coetanei.
Giusto il tempo di riconoscerla e ho notato che teneva per mano una bambina.
Che bello, ho pensato, ha avuto una figlia. La bambina poteva avere quattro o cinque anni, la mamma, cioè la mia amica dimenticata, la portava per mano e tutte e due camminavano, con passo svelto, per tornare a casa.
La mia amica aveva uno sguardo molto corrucciato, uno sguardo che ho imparato a riconoscere, quello delle donne che mentre fanno una cosa stanno pensando ad altre cinque: “chi va a prendere la bambina domani a scuola? Lo dico sempre a mio marito ma lui poi finisce che si dimentica; la pastina al sugo l’ha mangiata stamattina, stasera devo cucinare un po’ di carne; devo telefonare all’avvocato, mi devo ricordare di pagare la bolletta domani prima di andare al lavoro; forse mia madre può venire a tenerla se usciamo domani sera” cose del genere.
Insomma aveva quella tipica espressione da mamma/moglie/donna che lavora. 
Mi ha fatto piacere vederla e constatare che vive, sta bene e la sua vita va in una direzione, qualunque essa sia.
Poi ho pensato che “prima”, un prima non meglio identificato nel tempo, ci saremmo fermate, ci saremmo scambiate un attimo, un saluto, un sorriso e i nostri occhi non sarebbero stati frettolosi e un po’ infossati.
Soprattutto “prima” ci saremmo chieste del nostro futuro: ciao, come stai, cosa fai, cosa farai, questo ci saremmo dette. Ho pensato anche che era meglio che non avessimo avuto modo di scambiare una parola, perché non avevo voglia ultimamente di sapere niente di nessuno, né di raccontare niente di me. Poi però mi sono fermata un secondo e mi sono chiesta che cosa è successo, cosa mi è capitato, da rendermi frettolosa e poco incline alle improvvisazioni del caso, cosa è successo anche agli altri, che corrono quanto me, che sono seccati e stanchi quanto me?
La risposta banale è che siamo cresciuti, siamo diventati “grandi”.
E quando è successo, e perché io non mi sono accorta di nulla?
All’improvviso i piccoli particolari sono percettibilmente diversi, tutto intorno a noi sembra restato uguale, stesse strade, stessi percorsi, stessi amici, stesse frasi dette e ridette, stesse battute a cui si risponde sempre con le stesse risata, e poi? Siamo noi, quelli di allora, che non siamo più gli stessi.
Ma la trasformazione quando è avvenuta?
Io ho continuato a vivere ogni giorno, a fare cose quotidiane, ad alzarmi, a lavorare a tornare a casa, e non mi sono accorta di nulla.
Intorno a me, le cose mantenevano le loro solite posizioni. Quando facevo l’appello delle forze del bene, erano tutte lì a rassicurarmi contro le forze del male.
Ma non era vero, non era esattamente così.
Erano lì senza esserci veramente. Qualcosa si stava spostando in una direzione, senza che né lo spostamento né la direzione fossero visibili.
Ora la direzione si sta mostrando all’orizzonte.
Stiamo diventando adulti, lo siamo belli e che diventati.
Stiamo ingrassando, le nostre rughe di espressione si stanno accentuando. Siamo cominciando ad ammalarci, a divorziare, a portare gonne più lunghe e scarpe più basse. I nostri amici stanno perdendo i capelli e stanno mettendo su pancia.
I nostri occhi si fanno sfuggenti, quando ci incontriamo non parliamo più del futuro, ma del passato, quando va bene del presente presentissimo, più tardi, oggi, stasera, domani al massimo. Ti trovo bene, sei proprio come eri.
Sì sì, vediamoci magari che mi fa piacere.

lunedì 16 gennaio 2012

Splinder, lasciami andare!

Sto cercando di salvare il mio blog dalle grinfie di Splinder, che sta per chiudere e portare con se molti anni della mia vita.
Purtroppo i miei tentativi sono stati vani fin'ora. 
Non sono un'esperta di HTML e il file di salvataggio dati prodotto da Splinder, che potrei importare in un'altra piattaforma ha degli errori che mi impediscono di completare la procedura.
Per salvare tutte le migliaia di parole che ho scritto con amore per tanto tempo, sono andata a sbirciare e mi sono messa a spulciare tra i post scritti.
Mi sono stupita ed emozionata. Ora sembra davvero troppo che me lo dica da sola, ma ero proprio bravina.
Anzi un po' di più.
Cosa mi sia successo, questo non lo so.
Improvvisamente qualcosa mi ha lasciato.
Quella freschezza, lo sguardo sulle cose, dove sono andati a finire.
Si sono nascosti dentro di me? Da qualche parte?
Sono scivolati giù in fondo, magari in un piede? In un dito del piede?
Oppure sono come evaporati, svaniti, si sono trasformati in piccolissime goccioline di vapore e, senza che me ne accorgessi, una mattina all'alba, sono volati via.
Mi sento più sola adesso, senza quei miei pezzetti, senza quella voglia, quel pizzicorino nelle dita.
Cerco a volte di evocarlo, chiudo gli occhi, mi strofino i polpastrelli, poso le dita sulla tastiera, ma succede ben poco.
Scrivo, ma quando rileggo mi trovo delusa, nelle parole che trovo manca qualcosa.
Mi dico, lo ritroverò.
Ne sono quasi sicura.
A volte.
Altre volte, invece, penso che si sia spento qualcosa per sempre.
Forse sono invecchiata, male, evidentemente, mi dico.
Allora lascio perdere, ma poi piano piano mi avvicino ancora, mi strofino i polpastrelli, faccio un bel respiro, chiudo gli occhi e tento il salto.
Spiccherò il volo ancora una volta?