martedì 8 ottobre 2013

Breve (e triste) storia di un paio di scarpe


Ovvero di come anche un inanimato paio di scarpe possa essere travolto da un insolito destino

  Un sabato mattina di maggio, il 5 maggio 2012 (eh lo so, come faccio a ricordarmi così le date, è sicuramente un sintomo delle mie patologie mentali), era una mattina piovosa e grigia come oggi, ma io la ricordo come una delle mattine più belle del mio ultimo tempo.
Ero in quel paese, triste e piovoso anche lui, dove meditavo di trasferirmi e dove passavo parecchio tempo già da molti anni ma dove mi ero sempre sentita un'estranea. Ci passavo raramente e sempre di corsa, entravo in un negozio, in farmacia, prendevo un pessimo caffè, ma non conoscevo nessuno, le persone mi guardavano e mi riconoscevano come una forestiera, era sempre una sensazione straniante e un po' triste, soprattutto per una come me che nella mia città sono abituata a parlare con tutti.
Nell'ultimo mese però erano successe parecchie cose nuove, o almeno a me sembrava che fossero successe, pensavo che fosse arrivato il momento che aspettavo da tempo. 
Saremo stati meglio, avremo potuto guardare un poco di futuro, pensavo, non un futuro enorme, ma giusto quel poco che ci serviva.
Poiché ero molto contenta decisi che potevo concedermi di fare un piccolo acquisto che meditavo già da un poco. Un paio di Superga blu, come le portavo quando ero ragazzina. 
Mi sembravano adatte per essere usate nella casa e nel giardino dove spesso mi trovavo a vivere e le comprai per lasciarle lì per quando fossi tornata la prossima volta. L'estate sarebbe presto arrivata e forse avrebbe portato qualcosa di buono. Era decisamente una mattina che mi sentivo ottimista, avevo al mio fianco il mio uomo che si apriva ad una nuova vita e io ero con lui. Era il momento che aspettavo da anni.
Entrai nel negozio di scarpe e riuscii addirittura a fare due chiacchiere con il negoziante, tornerò a trovarla, gli dissi andando via con il pacchetto fra le mani.
Ma l'ottimismo, si sa, fa male, soprattutto a chi non ci è abituato, come me.
Infatti pochi giorni dopo ripartii e lasciai le mie scarpe nuove nella loro scatola, e il mio fidanzato, che sembrava nuovo anche lui, sul marciapiedi della stazione, avrei ritrovato entrambi al mio ritorno, che sarebbe avvenuto di lì a poco.
Non sapevo che non sarei tornata mai più, me lo disse il telefono in un confuso balbettio.
Le scarpe, insieme ad alcune tristi vestigia della mia vita distrutta, mi furono dopo alcuni mesi restituite.
Adesso, sono nel mio armadio. 
Le vedo ogni mattina quando lo apro. 
Sembrano guardarmi. Mi chiedono di uscire a fare una passeggiata. Sono nuove, fiammanti, vorrebbero consumarsi un poco.
Qualche volta ci ho provato a metterle e portarle a spasso. 
Ma mi sembrano così pesanti così estranee, che non riesco a camminare, torno a casa e le tolgo, e le rimetto nell'armadio.
Ci proverò un'altra volta, le metterò per un tragitto breve, penso.
Povere scarpette blu involontarie testimoni di una catastrofe. 
Un po' come quelle scarpe nelle foto dei disastri, che tristezza che fanno, abbandonate, spaiate, distrutte insieme alla vita dei loro proprietari che si immagina finiti chissà dove, scalzi oppure, peggio, con una scarpa sola.
Stamattina pioveva, le ho messe lo stesso. 
Sono uscita, sono tornata, le ho rimesse nell'armadio, scarpe pesanti, niente da fare. 
Resteranno lì probabilmente per sempre, perché di questo passo non si consumeranno mai, come me, resteranno vittime di un incantesimo, le scarpe della Bella Addormentata.