Perché mi lasci?
Lui scrisse: Io non so come vivere.
Neanch'io, ma sto tentando.
Non so come tentare.
C'erano cose che volevo dirgli. Ma sapevo che gli avrebbero fatto male. Così le seppellii e lasciai che facessero male a me.
Molto forte, incredibilmente vicino, J.S. Foer, Guanda, 2012.
giovedì 24 gennaio 2013
martedì 22 gennaio 2013
E comunque, pare che il tempo passi
Il tempo passa inesorabile, le giornate stanno già
cominciando ad allungarsi un’altra volta.
È assurdo se penso che invece il mio
tempo è fermo e che neanche mi sono accorta delle giornate che, dopo l’estate,
tornavano a essere finalmente più corte. Dico finalmente perché tutti sanno che
io odio l’estate e quelle sue interminabili giornate di luce, che non si sa
cosa ci sia di bello da vedere, per quale motivo il giorno non debba mai finire
dato che facciamo sempre le stesse cose sia con la luce che con il buio. Sì,
sì, lo so che l’estate non è per gli uomini ma per le piante e per gli animali,
ma francamente a me delle piante e degli animali me ne frega niente.
Gli
animali mi piacciono di più, ma solo quelli pelosi che si possono accarezzare,
le piante invece, per quanto mi riguarda nemmeno mi accorgo se ci sono oppure
no.
Ieri comunque ho notato che alle cinque non è più buio, come
succedeva qualche giorno fa. L’ho notato con sgomento.
Che poi che cosa mi cambia, mi sono detta. Non lo so, mi
sono risposta, in verità non mi cambia niente, mi dà solo un senso di disagio
scoprire che il tempo non si ferma anche quando io lo percepisco fermo. Peggio
per me, mi sono detta, il tempo se ne va per i fatti suoi, scorre, come un
fiume, che metafora banale, nessuno lo può fermare, altra orrenda banalità. Per
questo tutti sembrano affrettarsi ad andare da qualche parte. Pure io credevo
di andarci, da qualche parte, invece ero ferma, immobile, e non lo sapevo. Che
poi a pensarci bene credo di essere stata sempre immobile, nella mia vita, non
mi doveva essere così difficile capire che anche questa volta era così.
Vabbè,
mi sono detta mentre constatavo che alle cinque del pomeriggio non è più buio
come qualche giorno fa, mi sveglierò di colpo a cinquanta, sessant’anni e mi
dirò che ho sprecato la mia vita. A quel punto impazzirò e comincerò ad
adottare cani randagi, a dare da mangiare ai gatti per strada o, peggio ancora
ai piccioni, quei disgustosi animali a cui gli anziani, non si sa per quale
motivo di demenza senile, lasciano a terra negli angoli il pane spugnato nell’acqua.
Che io da piccola, quando mi dicevano che chi va in prigione mangia
pane e acqua, mi immaginavo qualcosa del genere, non il pane e l’acqua, ma il
pane spugnato nell’acqua, farà parte della pena, pensavo, dovere mangiare
questa schifezza, pensavo.
Il mio piano comunque non è proprio questo, non
vorrei arrivare alla senile coltivazione dei piccioni da strada né dei cani da
appartamento, ma non ve lo posso rivelare, il piano, perché poi lo so già che
ci mettereste tutti bocca e vorreste tutti sindacare, quindi niente, non si
rivelano i piani.
Che poi pure l’idea di tutto questo tempo, fermo ma in
movimento, di tutto questo avanzare di giorni sul calendario, di mesi e di
stagioni tutte uguali, una dopo l’altra, cominciava a darmi un certo fastidio,
per cui a un certo punto avevo deciso di darci un taglio. La cosa però non ha
funzionato, e non sto qui a recriminare, ma evidentemente non è poi così
semplice come si crede, darci un taglio.
Comunque non mi ricordo nemmeno perché l’ho cominciato tutto
questo discorso, se non forse per dire che il tempo passa, come al solito.
Tra
l’altro fuori piove che dio la manda e io continuo a chiedermi come sia
possibile. Non mi chiedo come sia possibile il fenomeno meteorologico della
pioggia, naturalmente, essendo una cosa normale che si verifica d’inverno, un
problema di masse d’aria che si spostano e così via, una di quelle cose che
succedono nelle famose stagioni di cui sopra. D’inverno piove e fa freddo, si
sa.
Guardo e ascolto la pioggia, e mi chiedo come sia stato
possibile, come, come, come.
Sono ostinata io quando mi faccio le domande, lo
sanno tutti. E poi mi dico: ma è della tua vita che stiamo parlando? Di te? E
allora come altro doveva andare scusa? Ma che sei scema? Ma davvero ci avevi
creduto a quella stupida storia del principe azzurro, del compagno della vita?
Ma sul serio ti dicevi che era stato un miracolo? Allora sei scema davvero,
scusa.
Lo dovresti sapere, le persone sono molto uguali ma anche un po’
diverse, se non fossero uguali non si potrebbero curare, né i loro corpi né le
loro menti, quando si può curarli, non si potrebbero raggruppare per studiarli,
né prevedere i loro comportamenti, hanno gli stessi dolori e le stesse gioie e
le stesse speranze, tutto uguale, ma tutto leggermente diverso. In questo
grande numero di leggere diversità ci sei anche tu. E dovresti ben conoscerti
no? Infatti ti conosci. E quindi ammettilo serenamente. Lo hai ammesso? Bene. E
allora, alla luce di questa serena ammissione, ancora ti domandi perché?
Smettila, lascia andare il tempo, almeno.
mercoledì 2 gennaio 2013
Ho sceso, dandoti il braccio...
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tutt'ora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale da Xenia II
Questo avrei voluto fare, scendere un milione di scale.
Da sola non sono più capace, né lo sono, in vero, mai stata.
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tutt'ora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale da Xenia II
Questo avrei voluto fare, scendere un milione di scale.
Da sola non sono più capace, né lo sono, in vero, mai stata.
Iscriviti a:
Post (Atom)