mercoledì 31 ottobre 2012

La notte del Grande Cocomero

Stanotte è la notte del Grande Cocomero.
Vorrei vederlo arrivare, chi sa se vola o cammina.
Forse galoppa. Sì, mi piacerebbe che galoppasse, come un deforme principe azzurro, con una testa enorme e il corpo magrissimo.
Come un principe azzurro del colore sbagliato.
Qui piove tanto che dovrà arrivare armato di ombrello.
Stanotte, se verrà, sarà per me.
Lo so.
Atterrerà e mi coprirà con il suo mantello fatto di foglie, mi terrà caldo e scuro e mi farà dormire.
Dormirò tanto a lungo e tanto profondamente che quando mi sveglierò non saprò più chi sono, non avrò più nome né passato né futuro.
Diventerò una foglia o un ago di pino, qualcosa che se punge non fa sanguinare, diventerò muschio oppure fungo.
Questo sarà il regalo del Grande Cocomero per me.






giovedì 11 ottobre 2012

Lotteria Italia

Ieri sera ho preso la funicolare che dal Vomero porta "giù Napoli" a via Toledo. O via Roma. 
E' quella una delle tante strade della città che ha molti nomi perché ha avuto molte vite. Si chiamava originariamente via Toledo, poi ha preso il nome di via Roma in tempi molto più recenti, poi, in omaggio alle cose antiche e al suo antico cuore il vecchio nome le è stato restituito con il risultato che ognuno la chiama come preferisce a seconda del suo cuore, dei suoi ricordi e delle sue consuetudini.
Avevo appuntamento con un'amica. Io come al solito ero in anticipo, lei un poco in ritardo. 
Così sono rimasta sulla strada ad aspettarla per una decina di minuti, forse di più.
Accanto a me c'era una bancarella. 
Non ci ho fatto subito caso perché su via Toledo, che io però preferisco chiamare via Roma, chi sa questa preferenza cosa rivela del mio cuore, c'è una tale confusione, un via vai impazzito e un numero di bancarelle, ambulanti e questuanti che impedisce di vedere alcunché.
Erano le sette e mezza ed era buio. 
Anche il buio che prima amavo tanto e che oggi mi spaventa e mi disorienta, come mi spaventa e mi disorienta ormai ogni cosa, forse mi ha impedito di rendermi immediatamente conto di quello che mi accadeva intorno. 
Guardavo ogni cosa senza vedere nulla.
Davo le spalle al piccolo banco che avevo notato appena arrivando, e una voce profonda e cavernosa mi ha fatto sobbalzare.
"Lotteria Italia!" chiamava una vecchia. 
Non è stato l'urlo che mi ha colpito ma il tono della voce. 
Un richiamo abituale, lanciato senza intonazione, con indifferenza, come si compie un servizio abusato, noioso, un atto dovuto.
Mi giro e vedo una signora con l'aspetto di una strega, i capelli bianchi e crespi, le mani nodose e le unghie acuminate.
Nonostante tutto, il suo sembrare una strega cattiva, la bancarella, il grido lanciato e la situazione in generale, era molto tranquilla e composta. 
Ogni tanto, mandava il suo richiamo "Lotteria Italia, lotteria!", altrimenti stava in silenzio e fissava un poco nel vuoto. Qualcuno si è avvicinato a comprare i biglietti.
A un certo punto, un altro ambulante, che vendeva cianfrusaglie, anche lui lanciando un richiamo che si confondeva nel rumore della strada, è passato davanti a noi e le ha fatto il verso. 
Lei si è un po' arrabbiata, un po' no e gli ha risposto per le rime.
Poi, siccome io stavo vicino a lei, si è rivolta a me per commentare l'accaduto: "E' un ragazzo scostumato, ma non è cattivo, ogni volta che passa mi sfotte" mi ha detto.
Io presa alla sprovvista le ho risposto: "Ci vuole pazienza con questi ragazzi, sono maleducati", e ho fatto per girarmi e per continuare a farmi i fatti miei.
Ma lei si vede che si era annoiata di stare lì sola, era buio ormai, forse stava per andare a casa. 
Voleva fare ancora due chiacchiere.
Ha chiamato, con quella sua voce roca e profonda il suo cagnolino: "Lady!" e subito Lady è apparsa scodinzolando. Un bastardino molto pulito, curato e con un bel collare.
Mi ha detto: "Sta con me da dieci anni, siamo io e lei da sole, la mattina mi sveglia e vuole subito uscire, se ne viene a via Roma a fare la passeggiata. E' molto intelligente, capisce tutto e si fa capire, mi accompagna sempre tutti i giorni al mio lavoro e poi la sera ce ne torniamo a casa. Adesso si è stancata e mi sta dicendo che se ne vuole andare."
Io ho fatto un po' di ciance al cane, poi è arrivata la mia amica. Ho salutato la signora e me ne sono andata per la mia strada.
Ma mi torna ancora in mente la sua voce, i suoi capelli bianchi e crespi, la sua compostezza.
Il cane, i biglietti della lotteria.
Non so nemmeno bene cosa ho pensato, cosa ancora adesso sto pensando.
Ho pensato a quella donna sola, mi sono chiesta come vive, probabilmente in un basso poco lontano, se c'è qualcuno che si preoccupa per lei, probabilmente no.
Non mi sembrava triste solo molto tranquilla, forse serenamente rassegnata alla sua vita, ai suoi biglietti della lotteria, alla sua solitudine e a quel richiamo che lanciava con la sua voce profonda ma indifferente.
Ho pensato a lei, a me, al destino, alla fine delle vite, ai cani e alla solitudine, alla mia città e a come si possa sopravvivere nei modi più strani e complicati, con l'aria che sia invece normale.
Ho pensato alla lotteria e a quei biglietti sistemati ordinatamente su un banco da niente messo in mezzo a una strada.
Questi pensieri mi mettono tristezza e nemmeno so perché.
Un tristezza che ha il sapore della sconfitta e della rassegnazione, come il tono di voce della signora, un tono senza intonazione, appunto.
La prossima volta che passo le compro un biglietto. 

mercoledì 3 ottobre 2012

I sassi bianchi

C'è un posto dove ho sempre desiderato portarti.
Una spiaggio bianca di sassi, con una montagna ripida, verde e marrone alle sue spalle.
Quello è il mio posto. 
La parte più bella e più serena della mia infanzia si è svolta laggiù, su quella spiaggia piena di sole.
Davanti ai miei occhi il mare, profondo, blu e quasi sempre gelato. 
Sotto i miei piedi di capretta degli scogli, sassi bianchi e polverosi, rotondi, duri, ma facili da addomesticare, almeno per la me stessa di allora.
Appena ti ho conosciuto e ti ho amato, ho desiderato portarti lì. 
Penso che volessi portare la me stessa di ora a guardare quella di allora, volevo unire la parte più bella del mio passato, con il mio sogno di futuro, con la mia speranza di vita.
Ho addirittura pensato, ma solo per un attimo molto piccolo, che se avessimo avuto dei bambini avremmo potuto portarli in vacanza lì.
Insomma volevo chiudere il famoso cerchio, se poi esistono cose del genere in natura.
Immaginavo che saremmo arrivati in macchina, percorrendo quella strada scavata nel fianco della montagna; a sinistra avremmo avuto le rocce, sempre in atto di cadere e trattenute da enormi reti di metallo, a destra lo strapiombo e sotto il mio mare.
Ci vedevo seduti in macchina, io al tuo fianco a raccontarti, ad aspettare di vedere i piccoli falchi marroni che sempre volano a caccia di qualcosa tra quelle rocce alte, tu alla guida, come una specie di principe azzurro che riporta a casa la sua principessa.
Sognavo di farti camminare sui sassi bianchi, ti avrebbero fatto male ai piedi di sicuro, te ne saresti lamentato e poi immaginavo che avremmo fatto il bagno insieme nel mio mare gelato dal quale io non volevo mai riemergere e nel quale ho imparato il sale che brucia negli occhi e arde le labbra e il freddo che fa raggrinzire i polpastrelli delle dita.
Anche dell'acqua così fredda ti saresti lamentato, questo è sicuro, a te non piacciono molto né il mare, né i sassi, ma forse per farmi contenta ci saresti stato, almeno un po'.
Volevo raccontarti e mostrarti tutto, le cose che amavo e che ancora amo nei ricordi, volevo e speravo che tutto fosse rimasto come allora.
Anche stanotte ho sognato di tornare laggiù con te.
Ma sono qui da sola e a tutti i sogni che non si realizzeranno aggiungo anche questo. 
Lo metto nella scatola dove ho conservato i sassi rotondi e bianchi di Acquafredda, per scoprire ogni volta che quando li portavo in città e li mettevo nella scatola perdevano la loro magia.
Loro, i sassi, resteranno qui con me, nella mia scatola, e anche tu ed io con loro.